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Ripensare la globalizzazione.

Non c’è alcuna correlazione diretta, ma la discesa sotto i 52 mila residenti in centro storico e sotto gli 80mila per tutto l'estuario del Comune di Venezia, tra l'alluvione di novembre e il coronavirus, un impatto psicologico di certo lo ottiene. Il declino urbano assume l’aspetto della desertificazione demografica che le misure anti contagio esaltano nei giorni del ritiro forzato. Qualcosa che rende da vicino l’idea. L’onda turistica è totalmente rifluita, ma facciamo attenzione. Non è auspicando il suo ritorno nelle forme note che Venezia risolverà i suoi problemi col mantra "qualunque cosa va bene purché stimoli l’economia". Se l’economia è quella del turismo a oltranza degli ultimi anni equivale a curarsi dalla droga con l’overdose. Come sarà il mondo dopo la pandemia se lo chiedono in molti ed ogni realtà è tenuta a proiettarsi nel prossimo futuro. Di certo la globalizzazione non sarà quella che abbiamo conosciuto, ma cosa potrà essere dipende anche da noi. La globalizzazione, che per Venezia è solo turistica, ma tale non è per tutti, non potrà replicarsi e dovrà assumere una veste più confacente alla salute fisica e a quella sociale. In città vanno riportati i profitti da lavoro, non le entrate da rendita. Questo tema non nasce oggi, era chiaro senza bisogno di drammatiche dimostrazioni. Gli eventi si sono solo presi la briga di sottolinearlo senza sconti.

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