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La città che ci serve.

Il rettore dello Iuav Ferlenga mette i piedi nel piatto. Quello delle case (vuote) per turisti che hanno espulso abitanti e studenti dalla città.


Ben venga la riflessione sull’uso razionale del patrimonio abitativo urbano indotto dal coronavirus, se rimette in moto il volano della vivibilità con la filiera degli esercizi commerciali legati alla residenza stabile.

È l’esempio di un'economia urbana che si riprende e aiuta a vedere meglio nel futuro della città che necessita di un equilibrio stabile tra popolazione permanente e transitoria.


Non è certo la popolazione studentesca coi suoi cicli di rinnovo poliennali che risolve il problema di uno stabile ripopolamento urbano, ma è una concreta base di domanda abitativa su cui contare per filtrare anche una quota permanente di nuovi abitanti giovani e professionalizzati cui la città oggi offre troppo poco in termini di lavoro, costringendoli poi all’esodo verso mete, comunque urbane, ma più allettanti.


Il ragionamento, che vale per gli alloggi di Venezia storica come per Mestre, può essere tranquillamente esteso anche al nuovo distretto alberghiero di Mestre, desolatamente vuoto al suo primo anno di attività. Totalmente mancata.


Di facile accesso ai trasporti, la sua reale ragione localizzativa, direttamente connesso alle università di via Torino, si presta all’uso di una popolazione permanente con esigenze di vita e non di forsennato turn over di visitatori, scandito dai circuiti dell’industria turistica internazionale. È ciò che serve per costruire un ambiente urbano al posto di un anonimo falansterio turistico.


Ma per far questo bisogna dotarsi di un pensiero urbano e non di un'attitudine immobiliarista che riduce l’idea di città a campo di azione per investimenti redditizi utili per raccogliere consenso nel breve ma non per garantire un futuro alla città stessa.

Per una città come Venezia, questo è ancora più vero.

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