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I Pili, simbolo del programma di deindustrializzazione.

Nel monòpoli urbanistico avviato con disinvoltura dal sindaco Brugnaro non è tanto il conflitto di interessi beffardamente mascherato con l’insostenibile blind trust sull’area Pili, né il prezzo irrisorio pagato per un’area inquinata il cui costo di bonifica è dieci volte il prezzo pagato per l’acquisto. Certo tutto questo è un macigno politico e amministrativo.

Ma il senso vero è il significato simbolico di aggredire l’intero comparto industriale di prima zona, faticosamente avviato a produzioni verdi, in area destinata a turismo, spettacolo e diporto, per sancire la svolta post industriale a partire da un’area posta a cavallo delle relazioni translagunari tra Venezia storica e terraferma. Un luogo di transito obbligato che assume un valore immobiliare proporzionale alla quantità di metri cubi previsti. Che sono tanti.

Dalla destinazione a verde pubblicato attrezzato vengono fatti emergere volumi edificabili da centro urbano. In realtà un disegno ispirato alle marine degli Emirati arabi, quelle che attirano gli investimenti dell’industria turistica internazionale alla ricerca di luoghi appetibili, come Venezia, dove far atterrare società finanziarie tanto capitalizzate quanto determinate a moltiplicare gli utili dell’investimento.

Sotto il titolo di investimenti per l’occupazione si cancellano, assieme al valore aggiunto delle produzioni industriali che si vogliono smantellare, anche gli esistenti posti di lavoro per sostituirli coi precariato sottopagato di un immobiliarismo senza scrupoli che premia gli investitori e deprime la qualità del lavoro esecutivo dei suoi addetti.

È una storia già in pieno svolgimento nella città storica che ora punta a ben più disinvolte operazioni in terraferma.

I veneziani di terra e di acqua ne sono consapevoli?

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