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Università, ma solo alla fine.

Al quinto anno del suo mandato amministrativo Brugnaro scopre che la presenza delle università in città è cosa importante. Ma lo scopre a modo suo, quasi meravigliandosi che non ci sia la fila di atenei stranieri in attesa di trovare un accomodamento a Venezia. Reso edotto dall’arrivo degli alberghi che si propongono per lucrosi investimenti nel turismo urbano, cui mai si negherebbe il rilascio di una licenza in deroga, il sindaco pensa che con le Università sia lo stesso. Un problema puramente immobiliare. E per la dimestichezza che ha con gli ambienti universitari, non si può neanche dargli torto. Ma, a differenza dell’albergo, luogo di transito per eccellenza, l’università è un'istituzione che nel tempo mette radici là dove trova le condizioni per farlo e il sostegno per proseguire. In sostanza, l’università è il frutto di un progetto e della volontà di svilupparlo dentro un'idea di città più rivolta alla conoscenza che alle grandi masse di visite lampo low cost. Pensando di far bene, il nostro decide comunque di spiegare all’università il che fare; scoprendo - altro passaggio illuminante - che bisogna trovar spazio per la residenza di docenti e studenti, senza il quale è difficile che un'università possa esistere se persino i docenti non trovano accoglienza. Pensare che oggi neanche ai veneziani è consentito l’alloggio in città. Sorge spontaneo il quesito: ci volevano proprio cinque anni per venire a capo di queste scoperte? Faremmo però oltraggio all'intelligenza pragmatica dall’intuizione fulminea del sindaco se non penetrassimo anche nel suo dubbio. Siamo proprio sicuri che una città centrata sulla politica dell’istruzione eleggerebbe un sindaco come Brugnaro? Dubbio sacrosanto. Dev’essere per questo che la scoperta dell’università arriva in finale di partita. In tempo giusto per non fare nulla.

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