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Mestre, quale città?

Di Franco Migliorini


A distanza di ben oltre mezzo secolo il comparto di via Torino conserva il suo ruolo di grande riserva immobiliare acquisita fin dagli anni cinquanta del ‘900, quando un decreto prefettizio ne fissò una strabordante edificabilità sotto il titolo di Bacino piccole industrie.


Anni cinquanta. Ben prima che il PRG di Mestre avesse avviato il suo travagliato iter di adozione e approvazione, quell’atto autocratico e arbitrario dette un suo originale contributo al sacco di Mestre garantendo alla futura generazione proprietaria una abbondante provvista di rendita urbana. Tutt’ora attiva.


Altri tempi si dirà, quando l’urbanistica era un puro concetto quantitativo maneggiato da pochi ma disinvolti addetti ai lavori. Con metodi spicci.


L’odierno esito di quell’atto è un chilometro di strada, parallela al Canal Salso, sui cui lati si allinea una miscellanea di grandi monoliti edilizi che contengono ogni genere di attività ad esclusione di Piccole industrie, come sanciva l’originario generoso editto prefettizio. Ma questo è un segno dei tempi e della domanda di mercato che ne ha plasmato lo strabordante destino volumetrico.


È così che oggi si prospettano altri due monoliti verticali da 150 mila metri cubi, all’ingrosso 50 mila metri quadrati di superficie calpestabile. Diciamo circa cinque ettari impilati in verticale con un classico mix due terzi residenza e un terzo commerciale. Almeno 600 abitanti sulla carta e un bel turn over di presenze commerciali quotidiane. Tutti serviti da quell’unica strada, a stento sottratta alla edificazione. Il minimo sindacale nel campo della mobilità.


Ad un centro città che va perdendo attrattività e decoro, a dispetto di ogni proclama, si rafforzano i fronti edilizi attratti dalle maggiori infrastrutture. Grandi centri commerciali sulle radiali verso l’entroterra. Torri residenziali e terziarie sull’asse Stazione San Giuliano, di cui via Torino è una variante funzionale. A partire dal nuovo distretto alberghiero mantiene il suo desolante aspetto spettrale.


Non una città degli abitanti ma degli utenti. Veri, potenziali, auspicati. A dominare è il criterio immobiliare della presunta redditività futura. Quella che si affida alla posizione e alla qualità dei manufatti singoli senza tentare un amalgama del connettivo urbano che li ospita. Alla verticalità dei contenitori offre solo una squallida organizzazione orizzontale di asfalti, priva del carattere di spazio di vita, modestamente funzionale alla mobilità, certamente negata all’incontro.


La trama del disegno che va prepotentemente prendendo forma è l’addensamento sulla testa di ponte di terraferma, là dove la suggestione di un water front sulle rovine della prima zona sarebbe destinato a fronteggiare gli approdi crocieristici del canale dei petroli. Ettari di fanghi inquinati che attendono di essere sdoganati in pregevoli terreni per una nuova destinazione urbana. Dal Vega ai Pili.


Venezia, fabbrica del turismo senza abitanti. Mestre, retroterra residenziale per chi non sceglie di vivere in cintura. Nel mezzo un nuovo denso conglomerato turistico commerciale con torri con vista laguna.


Città metropolitana, immobiliaristi all’opera!

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