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Condannati al Mose?

Alle prese con la nuova, ulteriore, emergenza Venezia, le istituzioni si aggrappano al Mose per disperazione, e il senso comune si allinea, perché non c’è altro cui rivolgersi per tacitare un'opinione pubblica locale e mondiale sconvolta dall'inesorabilità con cui i disastri si abbattono su Venezia, nonostante i fari accesi da tutto il mondo. In estate gli incidenti navali, in autunno l’inondazione violenta, manca solo una cosa. Il Mose, cui lo scandalo pare aver concesso un'immeritata moratoria, e la cui presenza aggrava il problema e non giova alla soluzione. Questa verità, che è stata disvelata da scritti e testimonianze multiple, scientifiche e non umorali, è parte della consapevolezza dei veneziani, dei veneziani consapevoli, ma non riesce a bucare l’inerzia istituzionale fossilizzata in una verità economica tecnologica come il Mose, dal costo assurdo e dall’esito autolesionista, perché è l’unica merce propagandistica a disposizione. La marcia indietro infatti è impossibile senza smentire una telenovela nazionale intergenerazionale. Il vero timore è che della smentita si debbano incaricare i fatti con un fiasco finale, non vorremmo certo con un nuovo disastro, da cui tutti prendono già da oggi preventivamente le distanze, garantendo a breve future scadenze per la conclusione dell’ ”opera”. E questo è il punto: siamo prigionieri di una lobby di interessi politico-economici-istituzionali che è come una fortezza inespugnabile dalla verità dei fatti, anche se siamo convinti che il tarlo del dubbio si sia insinuato nelle menti oneste e avvedute ma non disponga della via di uscita che servirebbe. Bene, a Venezia esiste una resistenza civica che nel muro della fortezza intende aprire una crepa sperando che da quella crepa filtri un barlume di ragione. Non nell’interesse di pochi ma di tutti. Il prossimo Comitatone potrebbe anche essere l’occasione buona per cominciare, ma in quella sede la rappresentanza della città non è certo quella che serve.

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