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1° MAGGIO: SU, CORAGGIO.

La canzone di Umberto Tozzi ha fatto un po’ il verso alla festa dei lavoratori, che oggi certo non se la passano bene, ma il coraggio serve veramente a tutti per affrontare la grave crisi che stiamo attraversando.

L’epidemia di COVID-19 si inserisce in una già matura crisi pregressa dell’economia e del lavoro.

Le contraddizioni di questo sistema economico hanno reso sempre più precario il mondo del lavoro con contratti a termine, a chiamata, collaborazione coordinata continuativa, stagionale, part time involontario (che spesso nasconde evasione contributiva), forme improprie di lavoro autonomo che sostanzialmente nasconde lavoro subordinato senza alcuna tutela, lavoro nero che rimane una quota importante del sommerso.

Questa situazione normativa e reale ha portato ad un abbassamento dei salari da lavoro, tanto che esiste un nuovo problema di “working poors”, cioè di chi appartiene alla categoria dei lavoratori poveri, cioè coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito.

Quanto alla situazione dei morti sul lavoro, beh, i dati 2019 continuavano il trend annuale negativo della nostra Regione che ha raggiunto i 98 decessi a causa di lavoro, e dell’aumento degli infortuni.

Il 2020 ha continuato questa tendenza, con la novità dei numerosi decessi degli operatori della sanità in questi ultimi due mesi, che sicuramente faranno ulteriormente schizzare il numero delle c.d. “morti bianche”.

La ripartenza ha visto prevalere pericolosamente gli interessi economici sulle cautele sanitarie che dai lavoratori passano all’intera cittadinanza. Fincantieri ha ricominciato ad aprire la sua attività già il 20 aprile, ben prima della data prevista dal Governo. Con quali cautele? Come lavoreranno e come si sposteranno 5.000 lavoratori dell’industria della croceristica? Dove si rinviene poi questa “urgenza” di un settore che andrebbe perlomeno ripensato?

Insomma che dire, già non ci facevamo mancare nulla prima, ora la situazione sembra proprio disastrosa.

Nella nostra città si aggiunge un azzeramento improvviso delle attività economiche che porta a disoccupazione involontaria senza la prospettiva di un successivo reimpiego, al netto degli ammortizzatori sociali che possono solo tamponare bilanci economici già disastrati.

Il fatto che la nostra economia abbia portato a un monopolio dell’industria turistica risulta negativo per tutti, anche per le imprese che operano nel settore.

C’è la possibilità di una via di fuga da questo quadro desolante?

Certamente nei momenti di crisi economica la risposta delle istituzioni è quella che determina o meno la salvezza del tessuto sociale a rischio disgregazione.

Le ricette potrebbero essere moltissime ma si può provare a dare qualche suggerimento:

per l’amministrazione comunale, ma anche per l’amministrazione pubblica in generale, fare scelte importanti sui lavoratori della cultura ad esempio, evitando le esternalizzazioni al ribasso dei lavoratori dei musei civici, iniziando anche un cammino di competenze di generazione, che possano formare una valorizzazione del patrimonio artistico di Venezia, uno dei più importanti al mondo. Valorizzare una cultura di prossimità anche nelle città di terraferma ricche di saperi e di cultura propria.

Evitare esternalizzazioni anche nelle strutture socio sanitarie locali, assumendo direttamente il personale.

Promuovere un decentramento dei servizi che diventa anche presidio sociale (riaprire ad esempio gli uffici anagrafe prima decentrati, crearne di nuovi).

Stessa ricetta per le educatrici dell’infanzia abbandonate alla concorrenza al ribasso delle cooperative, con una attenzione particolare ai più piccoli e alle loro mamme che magari lavorano per un servizio accessibile e di qualità. Progetti per l’edilizia scolastica di competenza per adeguare la ripartenza delle lezioni degli studenti.

Studiare una nuova mobilità e soluzioni innovative che non penalizzino l’occupazione degli operatori impiegati nella azienda dei trasporti, ma che invece li coinvolgano.


Le politiche di sussidio vanno implementate e sicuramente monitorate, ma la vera iniezione per il lavoro è crearlo, un lavoro continuativo, vero e stabile che aumenti una produzione di servizi di qualità.

Non si dica che vi è un problema di bilancio. Se andiamo a spulciare i bilanci (cosa che i cittadini non fanno mai abbastanza) si vedranno enormi somme di denaro pubblico per consulenze esterne pagate dalle società partecipate e non solo. Si valorizzino le competenze dell’amministrazione comunale per creare pianificazione in tema di commercio, artigianato, per sostenere le attività alternative al turismo che sono state letteralmente abbandonate a se stesse e al cannibalismo dei centri commerciali.

Si abbia il coraggio di cambiare segno, di cambiare passo.

Porto Marghera è in attesa da decenni di una riconversione industriale in senso di sostenibilità ambientale.

Il sito è indicato da una Legge nazionale sui siti denominati “DI CRISI COMPLESSA” che prevede aiuti dello Stato ad investimenti, in un progetto complessivo di riconversione.

Dare le banchine non più alle grandi navi ma restituire la modernità e la sicurezza degli impianti della zona industriale, ora assediata da navi fantasma che probabilmente per lungo tempo non partiranno più.

Fare pressione locale su una visione economica diversa dove i lavoratori non siano semplici comparse che ora “scompaiono”.

Questa crisi ci ha insegnato che è il lavoro che salva la vita.

Sui telegiornali si parla di aiuti europei a “famiglie e imprese”, come se i lavoratori non fossero più dei soggetti economici (e quindi negando valore anche economico al loro lavoro), eppure negli ospedali le vite sono state salvate dai lavoratori, in particolare dalla categoria dei lavoratori pubblici della sanità, passati in un attimo da fannulloni ad angeli, in una retorica che non aiuta concretamente nessuno.

Il lavoro non è solo un costo, in un momento in cui la domanda estera di prodotti si azzera bisogna rinsaldare una domanda interna che è crollata nelle ultime settimane. Se non ci sono soldi nelle tasche dei lavoratori l’economia non ripartirà mai. Una pianificazione sul “cosa produrre” è necessaria non solo per rispondere alle domande dettate dalla crisi ma anche per migliorare la nostra vita e la nostra salute.

Coraggio, tutti insieme ce la possiamo fare.








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